V.I.Lenin-Il significato storico della lotta all’interno del partito in Russia

Il significato storico della lotta all’interno del partito in Russia

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[Dall’articolo così intitolato che uscì nel maggio 1911 in Diskussionnyi listok, n. 3. Cfr. Lenin, Opere complete, v. 16.]

  Il tema indicato nel titolo è trattato negli articoli di Trotskij e Martov nei nn. 50 e 51 della Neue Zeit. Martov espone le idee del menscevismo. Trotskij si trascina a rimorchio dei menscevichi coprendosi con frasi particolarmente altisonanti. Per Martov l’”esperienza russa” si riduce al fatto che “l’incultura blanquista e anarchica hanno riportato la vittoria sulla cultura marxista” (leggi il bolscevismo sul menscevismo). “La ‘filosofia della storia’ di Trotskij è la stessa. Causa della lotta: “l’adattamento degli intellettuali marxisti al movimento di classe del proletariato”. Si mettono in primo piano “lo spirito settario, l’individualismo intellettuale, il feticismo ideologico”. “Lotta per l’influenza sul proletariato politicamente immaturo”, ecco dov’è il nocciolo della questione.

  La teoria che vede nella lotta del bolscevismo contro il menscevismo una lotta per l’influenza sul proletariato immaturo non è nuova. La troviamo, dal 1905 (se non dal 1903), in innumerevoli libri, opuscoli, articoli della stampa liberale. Martov e Trotskij ammanniscono ai compagni tedeschi idee liberali truccate alla marxista.

Certo, il proletariato russo è politicamente molto meno maturo di quello dell’Europa occidentale. Ma, di tutte le classi della società russa, è appunto il proletariato che ha dato prova, dal 1905 al 1907, della maggiore maturità politica. La borghesia liberale russa, che da noi si è comportata in modo basso, vile, sciocco e proditorio come quella tedesca nel 1848, odia il proletariato russo proprio perché questo ha dimostrato nel 1905 di essere tanto maturo politicamente da strapparle la direzione del movimento, da smascherare implacabilmente il tradimento dei liberali.

 E’ un’”illusione” pensare – dichiara Trotskij – che il menscevismo e il bolscevismo “abbiano meno profonde radici negli strati più profondi del proletariato”. Questo è un saggio di quelle frasi altisonanti ma vuote nelle quali il nostro Trotskij è maestro. Non “negli strati più profondi del proletariato”, ma nel contenuto economico della rivoluzione russa si trovano le radici dei dissensi fra menscevichi e bolscevichi. Volendo ignorare questo contenuto, Martov e Trotskij si sono privati della possibilità di comprendere il significato storico della lotta all’interno del partito in Russia. L’essenziale non è di sapere se le formulazioni teoriche dei dissensi siano penetrate “profondamente” in questi o quegli strati del proletariato; l’essenziale è che le condizioni economiche della rivoluzione del 1905 hanno posto il proletariato in rapporti ostili con la borghesia liberale non solo per il problema del miglioramento del tenore di vita degli operai, ma anche per la questione agraria, per tutte le questioni politiche della rivoluzione, ecc. Parlare della lotta tra le varie tendenze nella rivoluzione russa, distribuendo le etichette: “settarismo”, “incultura”, ecc. e non dire nemmeno una parola sugli interessi economici fondamentali del proletariato, sulla borghesia liberale e sui contadini democratici significa scendere al livello di giornalisti volgari […].

   Negli anni 1905-1907 l’antagonismo fra la borghesia liberale e i contadini si è pienamente rivelato. Nella primavera e nell’autunno del 1905, e così pure nella primavera del 1906, le insurrezioni contadine abbracciarono da un terzo a una metà dei distretti della Russia centrale. I contadini devastarono circa duemila ville (purtroppo ciò non è più di un quindicesimo di quello che si sarebbe dovuto devastare). Solo il proletariato dette un aiuto incondizionato a questa lotta rivoluzionaria, l’orientò in tutti i modi, la guidò, la unificò mediante i suoi scioperi di massa. Mai, nemmeno una volta, la borghesia liberale aiutò la lotta rivoluzionaria, preferendo “calmare” i contadini e “conciliarli” con i grandi proprietari fondiari e con lo zar. In seguito, nelle due prime Dume (1906 e 1907), la stessa cosa si ripetè nell’arena parlamentare. I liberali hanno sempre frenato la lotta dei contadini, li hanno traditi, e solo i deputati operai hanno diretto e sostenuto i contadini contro i liberali. Della lotta dei liberali contro i contadini e i socialdemocratici è piena tutta la storia della I e della II Duma. La lotta del bolscevismo contro il menscevismo, lotta per non appoggiare o appoggiare i liberali, per abbattere o per non abbattere la loro egemonia sui contadini, è indissolubilmente legata a questa storia. Perciò spiegare le nostre scissioni attribuendole all’influenza degli intellettuali, all’immaturità del proletariato, ecc. è una ripetizione ingenua, puerile, delle favole Liberali.

 Per lo stesso motivo è radicalmente falso il ragionamento di Trotskij secondo il quale nella socialdemocrazia internazionale le scissioni sarebbero dovute al “processo di adattamento della classe socialmente rivoluzionaria alle limitate (anguste) condizioni del parlamentarismo”, ecc. e, nella socialdemocrazia russa, all’adattamento degli intellettuali al proletariato. “Quanto era limitato (angusto), – scrive Trotskij, – dal punto di vista dello scopo finale socialista, il reale contenuto politico di questo processo di adattamento, tanto erano irrefrenabili le sue forme, tanto era grande l’ombra ideologica proiettata da questo processo.”

  In verità, quest’”irrefrenabile” fraseologia è solo l’”ombra ideologica” del liberalismo. I Tanto Martov che Trotskij mettono in un solo mucchio periodi storici diversi, paragonando la Russia, che sta compiendo la sua rivoluzione borghese, all’Europa, che ha da lungo tempo portato a termine queste rivoluzioni. In Europa il reale contenuto politico del lavoro socialdemocratico è la preparazione del proletariato alla lotta per il potere contro la borghesia, che ha già il pieno dominio nello Stato. In Russia si tratta ancora soltanto di creare un moderno Stato borghese che assomiglierà o a una monarchia junkeriana (in caso di vittoria dello zarismo sulla democrazia). Ma la vittoria della democrazia nella Russia odierna è possibile soltanto se le masse contadine seguiranno il proletariato rivoluzionario, e non il liberalismo traditore. Storicamente, questa questione non è ancora risolta. Le rivoluzioni borghesi in Russia non sono ancora finite, e in questi limiti, cioè nei limiti della lotta per la forma dell’ordinamento borghese in Russia, il “reale contenuto politico” del lavoro dei socialdemocratici russi è meno “angusto” che nei paesi nei quali non c’è nessuna lotta per la confisca delle terre dei grandi proprietari fondiari da parte dei contadini, nei quali le rivoluzioni borghesi sono state da molto tempo portate a termine.

   E’ facile comprendere perché gli interessi di classe della borghesia inducano i liberali a suggerire agli operai che la loro funzione nella rivoluzione è “limitata”, che la lotta delle tendenze è provocata dagli intellettuali e non dalle profonde contraddizioni economiche, che il partito operaio deve essere “non l’egemone nella lotta di liberazione, ma un partito di classe”. Appunto questa è la formula avanzata negli ultimissimi tempi dai liquidatori (Levitskij in Naša zarja) e approvata dai liberali. Essi comprendono le parole “partito di classe” nel senso dato loro da Brentano e Sombart: preoccupatevi solo della vostra classe e abbandonate i “sogni blanquisti” di dirigere tutti gli elementi rivoluzionari del popolo nella lotta contro lo zarismo e contro il liberalismo traditore!

   I ragionamenti di Martov sulla rivoluzione russa e di Trotskij sulla posizione attuale della socialdemocrazia russa danno concrete conferme dell’erroneità delle loro idee fondamentali.

 Cominciamo dal boicottaggio: Martov chiama il boicottaggio “astensionismo politico”, sistema da “anarchici e sindacalisti”; e si deve tener presente che parla solo del 1906. Trotskij dice che “la tendenza boicottista attraversa tutta la storia del bolscevismo: boicottaggio dei sindacati, della Duma, dell’autoamministrazione locale, ecc.”, che essa è “il prodotto del timore settario di dissolversi nelle masse, la radicalizzazione del rigido astensionismo”, ecc. Riguardo al boicottaggio dei sindacati e dell’autoamministrazione locale Trotskij dice una grossa menzogna. Ed è ugualmente una menzogna che il boicottismo attraversi tutta la storia del bolscevismo; il bolscevismo si formò completamente, come tendenza, nella primavera e nell’estate del 1905, prima che sorgesse per la prima volta la questione del boicottaggio. Esso dichiarò nell’agosto del 1906, nell’organo ufficiale della frazione bolscevica, che le condizioni storiche che avevano suscitato la necessità del boicottaggio non esistevano più.

  Trotskij deforma il bolscevismo, perché non ha mai potuto formarsi idee più o meno precise sulla funzione del proletariato nella rivoluzione borghese russa.

  Ma è cosa assai peggiore travisare la  storia di questa rivoluzione. Se si deve parlare del boicottaggio, si deve cominciare dal principio e non dalla fine. La prima (e unica) vittoria nella rivoluzione è stata strappata da un movimento di massa che ebbe per parola d’ordine il boicottaggio. Solo ai liberali fa comodo dimenticarlo.

  La legge del 6 agosto 1905 voleva creare la Duma di Bulygin, organo consultivo. I liberali, anche quelli più a sinistra, decisero di prendervi parte. La socialdemocrazia decise a stragrande maggioranza (contro i menscevichi) di boicottare la Duma e di chiamare le masse a un attacco diretto contro lo zarismo, allo sciopero di massa e all’insurrezione. La questione del boicottaggio non fu quindi soltanto un problema interno della socialdemocrazia. Si trattò della lotta del liberalismo contro il proletariato. Tutta la stampa liberale di quel tempo mostra come i liberali temessero lo sviluppo della rivoluzione e come tutti i loro sforzi fossero volti a un “accordo” con lo zarismo […].

  Ancora una volta lo sviluppo delle frazioni della socialdemocrazia russa dopo la rivoluzione non si spiega attribuendolo all’”adattamento degli intellettuali al proletariato”; va invece attribuito ai cambiamenti dei rapporti fra le classi. La rivoluzione del 1905-1907 rese più acuto, rivelò, mise all’ordine del giorno l’antagonismo fra i contadini e la borghesia liberale sulla questione della forma del regime borghese in Russia. Il proletariato politicamente maturo non poteva non partecipare nel modo più energico a  questa lotta, e la lotta fra il bolscevismo e il menscevismo è stata il riflesso del suo atteggiamento nei confronti delle diverse classi della nuova società.

   Il triennio 1908-1910 è caratterizzato dalla vittoria della controrivoluzione, dalla restaurazione dell’autocrazia e dalla III Duma, dalla Duma dei centoneri e degli ottobristi. La lotta tra le classi borghesi per la forma del nuovo regime è uscita dal proscenio. Per il proletariato si è posto all’ordine del giorno il compito elementare di difendere il suo partito, il partito proletario, nemico sia della reazione che del liberalismo controrivoluzionario. Questo compito non è facile, appunto perché sul proletariato si è abbattuto tutto il peso delle persecuzioni economiche e politiche, tutto l’odio suscitato nei liberali dal fatto che la socialdemocrazia aveva strappato loro di mano la direzione della rivoluzione.

La crisi del partito socialdemocratico è molto grave. Le organizzazioni sono disgregate. Molti vecchi dirigenti (specialmente intellettuali) sono stati arrestati. E’ già nato il nuovo tipo di operaio socialdemocratico che prende nelle sue mani gli affari del partito, ma egli dovrà superare straordinarie difficoltà. In tali condizioni il partito socialdemocratico perde molti “compagni di strada”. E’ naturale che nella rivoluzione borghese si unissero ai socialisti dei compagni di strada piccolo-borghesi. Oggi essi si staccano dal marxismo e dalla socialdemocrazia. Questo processo si è manifestato in ambedue le frazioni: fra i bolscevichi, sotto l’aspetto della tendenza “otzovista”, che apparve nella primavera del 1908, fu subito sconfitta alla conferenza di Mosca e, dopo una lunga lotta, è stata sconfessata dal centro ufficiale della frazione e ha costituito all’estero una frazione a sé, quella dei “vperiodisti”. La caratteristica del periodo di disgregazione si è manifestata nel fatto che in questa frazione si sono riuniti sia quei “machisti” che avevano introdotto nella loro piattaforma la lotta contro il marxismo (sotto l’insegna della difesa della “filosofia proletaria”), sia gli “ultimatisti”, questi “otzovisti” timidi, e i “socialdemocratici dei giorni della libertà”, i quali erano stati sedotti dalla “vivezza” delle parole d’ordine, le ripetevano a memoria, ma non capivano i principii del marxismo.

   Fra i menscevichi lo stesso processo di distacco dei “compagni di strada” piccolo-borghesi si espresse nella tendenza del liquidatorismo, che ha ora preso una forma pienamente determinata nella rivista del signor Potresov, Naša zarja, nel Vozrozdenie e nella Zizn,[Zizn (La vista), rivista legale dei menscevichi liquidatori, pubblicata a Mosca nell’agosto e nel settembre 1910.] nella posizione dei “16” e della “triade” (Michail, Roman e Jurij), al che si deve aggiungere che il Golos Sotsialdemokrata, pubblicato all’estero, ha assuntodi fatto la funzione di ausiliario dei liquidatori russi e di loro copertura diplomatica di fronte al pubblico del partito.

Non avendo compreso il significato storico-economico di questa disgregazione nell’epoca della controrivoluzione, di questo distacco dal partito operaio socialdemocratico di elementi non socialdemocratici Trotskij parla ai lettori tedeschi della “disgregazione di ambedue le frazioni, della “disgregazione del partito”, della “decomposizione” del partito. Questo è falso e con questa menzogna Trotskij dimostra, in primo luogo, di non comprendere assolutamente il lato teorico della questione. Egli non ha assolutamente capito “perché la sessione plenaria definì sia il liquidatorismo che l’otzovismo manifestazioni d’influenza borghese sul proletariato”. Pensateci infatti: sono la disgregazione, la decomposizione del partito, o il suo rafforzamento e la sua epurazione, che si manifestano con il distacco delle tendenze condannate dal partito, espressioni dell’influenza borghese sul proletariato?

   In secondo luogo, con questa menzogna Trotskij dimostra praticamente di voler fare una “politica” reclamistica della sua frazione. Oggi, dopo che egli ha allontanato dalla Pravda il rappresentante del comitato centrale, non c’è nessuno che non veda che l’impresa di Trotskij è un tentativo di fondare una nuova frazione. Facendo la pubblicità alla sua frazione, Trotskij ha la sfacciataggine di raccontare ai tedeschi che il “partito” si disgrega, che ambedue le frazioni si disgregano, mentre lui, Trotskij, lui solo, salva tutto. Noi tutti vediamo ora infatti – e l’ultimissima risoluzione dei trotzkisti (a nome del circolo di Vienna, 26 novembre 1910) lo dimostra in modo particolarmente evidente – che Trotskij gode esclusivamente della fiducia dei liquidatori e dei “vperiodisti”.  A qual punto di sfacciataggine arrivi inoltre Trotskij, svilendo il partito ed esaltando se stesso davanti ai tedeschi, lo dimostra, ad esempio, il seguente fatto. Egli scrive che le “masse operaie” in Russia considerano “il partito socialdemocratico come fuori [il corsivo è di Trotskij] del loro ambiente” e parla dei “socialdemocratici senza socialdemocrazia”.Come potrebbero il signor Potresov e i suoi amici non baciar Trotskij per queste parole?

  Queste parole però sono smentite non solo da tutta la storia della rivoluzione, ma anche dalle elezioni alla III Dume nella curia operaia.   “Le frazioni menscevica e bolscevica – scrive Trotskij – si sono dimostrate, per la loro precedente formazione ideale e organizzativa, assolutamente incapaci” di lavorare nelle organizzazioni legali; lavoravano “singoli gruppi di socialdemocratici!

  Noi consideriamo ora Martov come uno dei capi del liquidatorismo, tanto più pericoloso quanto “più amabilmente” egli difende i liquidatori con parole pseudomarxiste. Ma Martov espone apertamente opinioni che hanno lasciato la loro impronta su intere tendenze del movimento operaio di massa dla 1903 al 1910. Trotskij invece rappresenta soltanto i suoi tentennamenti personali e null’altro. Nel 1903 egli era menscevico; si staccò dal menscevismo nel 1904; tornò ai menscevichi nel 1905 facendo unicamente sfoggio di frasi ultrarivoluzionarie; nel 1906 se ne allontanò di nuovo; alla fine del 1906 difendeva gli accordi elettorali con i cadetti (cioè, di fatto, era di nuovo con i menscevichi), ma nella primavera del 1907, al congresso di Londra, diceva che la differenza fra lui e Rosa Luxemburg era “piuttosto una differenza di sfumature individuali che di indirizzo politico”. Oggi Trotskij commette un plagio nei confronti del bagaglio ideologico di una delle due frazioni, domani nei confronti di quello dell’altra e perciò si dichiara al di sopra di esse. In teoria egli non è d’accordo in nulla coi liquidatori e con gli otzovisti ma in pratica è d’accordo in tutto con i seguaci del Golos e con i vperiodisti.

 Perciò, se Trotskij dice ai compagni tedeschi che egli rappresenta “la tendenza di tutto il partito”, devo dichiarare che Trotskij rappresenta solo la propria frazione e gode di una certa fiducia esclusivamente fra gli otzovisti e i liquidatori. Ecco i fatti i quali dimostrano che la mia dichiarazione è fondata. Nel gennaio del 1910 il Comitato centrale del nostro partito stabilì uno stretto legame con il giornale di Trotskij, la Pravda inviando un suo rappresentante nella redazione. In settembre l’organo centrale del partito pubblicò la notizia della rottura del rappresentante del Comitato centrale con Trotskij a causa della politica antipartito di quest’ultimo. A Copenhagen, Plechanov, come rappresentante dei menscevichi partitisti e delegato della redazione dell’organo centrale assieme con chi scrive queste righe, come rappresentante dei bolscevichi, e con un compagno polacco,[Cioè A. Varskij (A.S. Varšavskij).] e levava una ferma protesta contro il modo con cui Trotskij presentava nella stampa tedesca i nostri affari di partito  Giudichino adesso i lettori se Trotskij rappresenta nella socialdemocrazia russa una tendenza che è quella “di tutto il partito” o che è invece “contro tutto il partito”.

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...."L’ineguaglianza dello sviluppo economico e politico è una legge assoluta del capitalismo. Ne risulta che è possibile il trionfo del socialismo all’inizio in alcuni paesi o anche in un solo paese capitalistico, preso separatamente...." Lenin -Sulla parola d’ordine degli Stati Uniti d’Europa-Pubblicato sul Sozial-Demokrat, n. 44, 23 agosto 1915.
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